Indirizzo: vico San Domenico Maggiore, 9
Metro linea 1: stazione Dante-stazione Toledo-stazione Università
A Napoli, il nome “Sansevero” è strettamente legato alla meravigliosa cappella omonima che ospita, al suo interno, la scultura del Cristo velato, preziosa testimonianza del patrimonio artistico internazionale, e le altrettanto famose macchine anatomiche, un luogo in cui si intrecciano bellezza, fascino e mistero, gioiello del barocco napoletano visitato ogni anno da migliaia di turisti. Ma questo nome evoca anche la figura del principe alchimista Raimondo di Sangro, ideatore del progetto iconografico e del ricco simbolismo di questa antica cappella di famiglia.
Il principe di Sansevero e duca di Torremaggiore Raimondo di Sangro è stato una delle più illustri figure della Napoli del Settecento, uomo di immensa cultura, dotato di un ingegno fuori dal comune, chimico, filosofo, scienziato e alchimista, inventore di macchine idrauliche, pirotecniche, marchingegni vari e altre sensazionali invenzioni progettati ed elaborati proprio nei laboratori sotterranei di questo palazzo, nei quali il principe era solito lavorare giorno e notte.
Tuttavia il palazzo, attorno al quale aleggiano segreti e misteri, luogo di un famoso quanto spietato uxoricidio da parte del principe madrigalista Carlo Gesualdo da Venosa, che qui vi abitò prima del di Sangro, esisteva già da molto tempo prima che il principe Raimondo vi si stabilisse.
L’allora proprietario era, nel Cinquecento, Carlo Gesualdo, insigne compositore di musica sacra e madrigali, amico di Torquato Tasso, che la notte del 18 ottobre 1590 qui scoprì il tradimento della moglie Maria d’Avalos con il duca d’Andria Fabrizio Carafa. Vendicato il suo onore con l’uccisione di entrambi, il madrigalista fece esporre i due cadaveri, nudi e sanguinanti, all’ingresso del palazzo. Secondo la tradizione, a tale efferatezza si aggiunse l’oltraggio di un monaco domenicano che violò il corpo della principessa. Fuggito da Napoli in preda ai sensi di colpa e per timore di una vendetta da parte della famiglia Carafa, Carlo si rifugiò nel suo castello a Gesualdo e non fece più ritorno nella città partenopea. Leggenda narra che ogni notte nei vicoli vicini risuonassero nel silenzio le urla strazianti di Maria e che il palazzo fosse stato maledetto per generazioni e generazioni.
Quando, dopo la tragedia, il palazzo passò al casato dei di Sangro e precisamente a Giovan Francesco Paolo di Sangro, primo principe di Sansevero, nel 1590, che ne restaurò la facciata su progetto di Giovanni Merliano da Nola, nel giardino venne eretta una cappella dedicata alla Vergine della Pietà. Si tratta proprio della cappella oggi conosciuta, appunto, col nome di Cappella Sansevero, concepita quale luogo di sepoltura per la famiglia. Con il secondo principe di Sansevero, Paolo dei Sangro, l’edificio nel 1621 subì alcuni rifacimenti che interessarono ancora la facciata, a opera di Bartolomeo Picchiatti e di Vitale Finelli, che si occupò del maestoso portale.
Il palazzo, dalla caratteristica facciata cinquecentesca, si erge su un basamento in piperno e presenta gli elementi tipici dell’architettura tardo-manieristica, come il ricorso al bugnato e anelli in marmo e piperno. Sulla chiave di volta è una lapide marmorea sormontata dallo stemma di famiglia che insiste su un timpano arcuato spezzato.
Ma fu proprio con il settimo principe di Sansevero, Raimondo, che il palazzo visse il suo periodo d’oro, in pieno XVIII secolo. Questi non solo fece del palazzo il teatro dei suoi studi e dei suoi esperimenti ma, volendo cancellare traccia del tragico episodio avvenuto in passato, decise di procedere a un profondo rimaneggiamento dell’edificio. Risistemata la cappella di famiglia con opere di inestimabile valore e bellezza – statue, bassorilievi, affreschi, sculture tra cui, come dicevamo, il celeberrimo Cristo velato opera dello scultore Giuseppe Sammartino – e abbellito il palazzo con nuove e preziose decorazioni a opera di Belisario Corenzio e di Francesco Celebrano, fece costruire un cavalcavia, una sorta di ponte che collegava il palazzo proprio con la cappella. Tuttavia, a causa di infiltrazioni d’acqua la parte del palazzo dove era stato eretto il cavalcavia crollò.
Oggi l’ingresso alla cappella è da via Francesco de Sanctis e accoglie il visitatore con una lunga iscrizione, posta sulla porta laterale, che così recita:
“Chiunque tu sia, o viandante, cittadino, provinciale o straniero, entra e devotamente rendi omaggi alla prodigiosa antica opera: il tempio gentilizio consacrato da tempo alla Vergine e maestosamente amplificato dall’ardente principe di Sansevero don Raimondo di Sangro per la gloria degli avi e per conservare all’immortalità le sue ceneri e quelle dei suoi nell’anno 1767. Osserva con occhi attenti e con venerazione le urne degli eroi onuste di gloria e contempla con meraviglia il pregevole ossequio all’opera divina e i sepolcri dei defunti, e quando avrai reso gli onori dovuti profondamente rifletti e allontanati”.