La chiamano la via del sangue, quella che identifica l’antica polis di pietra, in cui si muovevano le prime comunità, e che oggi è la città contemporanea percorsa, sin dalle origini del culto di San Gennaro, da scettici e da sostenitori del miracolo, dai cavalieri della fede, dal popolo e dalla nobiltà.
È la strada della processione che già dal 17 agosto 1389 vide il passaggio del santo, un passaggio che continua ancor oggi, forse senza gli arredi di un tempo, i damaschi preziosi, i drappi di seta e di raso stesi ai balconi di via Duomo, senza il grido delle parenti di San Gennaro, pronte a lanciare coloriti improperi e invettive per smuovere il santo a fare presto il miracolo: faccia ‘ngialluta, cioè “faccia gialla”, lo etichettò il popolo riferendosi al colore bronzeo del volto della statua portata in festa per le vie della città.
Un corteo processionale che parte dalla cattedrale della città e che si snoda per via dei Tribunali, via delle Zite per giungere a Forcella e poi proseguire lungo via San Biagio dei Librai, piazza San Domenico Maggiore e via Benedetto Croce, fino alla Basilica di Santa Chiara per poi far ritorno al duomo. Durante la processione tutti sfilano insieme, si stringono attorno al busto d’argento dorato, il reliquiario angioino che contiene le ossa del cranio del martire, un capolavoro dell’oreficeria europea, il più antico dono reale conservato, commissionato nel 1304 da Carlo II d’Angiò agli orafi di corte Etienne Godefroy, Guillaume de Verdelay e Milet d’Auxerre.
San Gennaro e Napoli sono due facce della stessa medaglia: San Gennaro non esisterebbe senza Napoli e Napoli non esisterebbe senza il suo santo protettore.
Tra fede, tradizione, scienza e superstizione, il miracolo del sangue viene guardato con occhi pieni di meraviglia tanto dai fedeli quanto da chi non è credente.
Gia nel Quattrocento il miracolo del sangue che si scioglie era considerato una delle meraviglie della città.
San Gennaro, vescovo di Benevento, dove forse pure nacque.
Morto nel 305 d.C. durante una delle più feroci persecuzioni cristiane, sotto il regno di Diocleziano, decapitato a Pozzuoli, presso la Solfatara, ma prima portato nell’anfiteatro della cittadina per essere sbranato vivo dalle belve feroci le quali però, ricevuta la benedizione da parte del martire, si inchinarono miracolosamente al suo cospetto, rifiutandosi di toccarlo.
Nel momento del martirio, dopo l’esecuzione, vennero riempite due ampolle con il sangue, oggi custodite presso il Duomo di Napoli, reliquie che rimarranno per sempre legate all’iconografia del santo quando si ripete appunto il miracolo della liquefazione, la cui prima testimonianza risale al 1389, come dicevamo, quando, come riportano cronache medievali, durante una processione pubblica, il sangue delle ampolline dallo stato solido passò allo stato liquido.
San Gennaro non è solo il santo patrono di Napoli, ma è il suo protettore: è il San Gennaro che, dopo aver gradualmente rimpiazzato Sant’Agrippino, primo patrono, nel cuore dei napoletani, emerge, unico, da un nucleo di ben sette altri patroni cittadini. Napoli è San Gennaro anche se da questa città non ha ricevuto i natali, e San Gennaro è Napoli. Già patrono del Regno delle Due Sicilie, proclamato patrono della Campania il 16 luglio 1980.
C’è tra la città e il suo santo un patto di sangue, un legame che ha retto al tempo. E non importano tutte quelle storie sulla natura del liquido contenuto nelle due ampolle, le analisi dei numerosi studiosi nel tentativo di spiegare con rigore scientifico il ripetersi di questo evento surreale che si ripete tre volte l’anno: quello è il sangue di San Gennaro, il sangue raccolto secondo l’uso che risale al III e IV secolo di raccogliere in ampolle il sangue dei martiri subito dopo l’esecuzione e, secondo una leggenda, in questo caso da una pia vedova, una certa Eusebia, che poi da Pozzuoli lo portò a Napoli. Un sangue santo, che si liquefa stando in un contenitore di vetro. È il sangue che ha fermato la peste, il colera, il terremoto, il Vesuvio.
Il culto del santo divenne, infatti, presto strettamente collegato alla protezione della città da eventi disastrosi, come nel caso di terremoti o delle eruzioni del Vesuvio.
Già dal 512 d.C., in occasione di un’eruzione del vulcano, l’allora vescovo Stefano I invocò San Gennaro affinché intervenisse a sedare la furia del Vesuvio, avviando come ringraziamento per la sua intercessione la costruzione di una chiesa posizionata accanto a quella di Santa Restituta, basilica fondata per volere dell’imperatore Costantino. E proprio sulle fondamenta di questa chiesa, chiamata Stefania in onore del vescovo, sorgerà poi il duomo di Napoli. La devozione dei napoletani verso il santo si rafforza con il passare del tempo, tanto che nel 1527 la città decide di fare un voto a San Gennaro a seguito di una terribile pestilenza che qui imperversò fra il 1526 ed il 1529: il popolo, in cambio di protezione dai flagelli, avrebbe costruito una nuova sede per il reliquiario del sangue.
Nel 1608, sotto la supervisione della Deputazione del Tesoro di San Gennaro, si dette il via alla costruzione della Real Cappella che terminerà nel 1646. E, al di sopra del bellissimo cancello realizzato da Cosimo Fanzago fu posta l’iscrizione “Divo Ianuario e fame bello peste ac Vesaevi igne miri ope sanguinis erepta Neapolis civi patr. Vindici”, “A San Gennaro, al cittadino salvatore della patria, Napoli salvata dalla fame, dalla guerra, dalla peste e dal fuoco del Vesuvio, per virtù del suo sangue miracoloso, consacra”.
Ancora, nel 1631, il Vesuvio tornò ad eruttare, e ancora una volta la figura di San Gennaro fu fondamentale nell’arresto dell’eruzione: nel secondo giorno dell’eruzione, il 17 dicembre, l’arcivescovo ordinò una processione di intercessione con l’esposizione delle reliquie di San Gennaro e, come riportato nelle cronache dell’epoca, l’eruzione cominciò ad arrestarsi proprio quando la statua del santo venne rivolta verso il vulcano attivo.
La liquefazione del sangue, che avviene quasi sempre, è considerata segno di buon auspicio per la città e i suoi abitanti e si verifica per ben tre volte l’anno: il sabato precedente la prima domenica di maggio, il 19 settembre, giorno della ricorrenza di San Gennaro, e il 16 dicembre, giorno in cui grazie all’intercessione del Santo cessò l’eruzione del Vesuvio.