I napoletani che non hanno mai posseduto un corno rosso si contano sulla punta delle dita.
Ancor meno numerosi sono quelli che non hanno mai fatto le corna, neanche per scherzo, puntando verso il basso l’indice e il mignolo, gesto istintivo per chi vuole allontanare da sé il pericolo concreto di una sfortuna ritenuta imminente.

Il gesto scaramantico del “fare le corna” corrisponde al meno suggestivo del “toccare ferro” riferendosi proprio al desiderio di scongiurare un evento infausto o comunque indesiderato.
Anche io ho posseduto uno splendido corno antico di corallo rosso, dono di una mia cara vicina di casa, persona d’altri tempi.
Un gioiello splendido che, insieme al suo opposto, una croce d’oro antico ricordo della mia amata nonna, ho portato al collo per anni in un rassicurante connubio tra sacro e profano fino a quando un giorno, senza ragione apparente il corno si è spezzato in due.
Ero assolutamente intenzionata a riparare il mio corno quando un’amica quasi scandalizzata mi ha ammonito di non farlo. Pare che il corno avesse assolto il suo compito.
Approfondendo la questione, mi si è aperto un mondo…
Pare infatti che il corno napoletano per essere efficace deve rispettare alcuni precisi requisiti: deve essere rosso, storto, appuntito e ricevuto in dono, ma soprattutto, una volta rotto non può essere aggiustato in alcun modo per non perdere il suo speciale potere protettivo.
Un corno infatti non si spezza mai a caso, bensì per proteggerti da un pericolo imminente e rompendosi adempie il suo compito, attirando su di sé l’infausta sorte che sarebbe dovuta toccare a te!
Di certo non sono stati i napoletani a inventare “il corno”, che anzi risulta fin da tempi antichi già ampiamente diffuso, tuttavia essi ne hanno conservato la tradizione e tramandata nel tempo fino a fare del corno rosso il “talismano” per antonomasia.
Le corna degli animali erano infatti utilizzate già nel neolitico, esposte all’ingresso delle abitazioni come simbolo di potenza e monito contro i nemici e le forze del male che intendessero avvicinarsi alle abitazioni. Anche i guerrieri nell’antichità ornavano di corna i loro copricapi, come simbolo di forza e come amuleto contro i pericoli della guerra. Proprio per questa ragione gli animali provvisti di corna sono spesso stati oggetto di culto nell’antichità, simbolo di forza ma anche di fecondità, data la loro forma fallica.
Il corno come oggetto di culto nell’antichità non è altro che l’evoluzione – successiva all’avvento del cristianesimo – dei simboli fallici, amuleti onnipresenti nella cultura romana, e attributi al culto del Dio Priapo. A Pompei si ritrovano infatti numerosi falli incisi sulle porte, dipinti sui muri e persino incastonati nelle pavimentazioni; anche all’interno delle case molti ambienti erano decorati con enormi simboli priapici in marmo o in bronzo e le stesse donne li portavano al collo sotto forma di ciondoli in corallo rosso.
Con l’avvento del cristianesimo, per questioni di decoro, il fallo si trasformò in corno e già a partire dal medio evo i gioiellieri partenopei erano famosi per le loro collane fatte di piccoli corni rossi, che venivano esportati in tutta Europa.
Ancora oggi c’è una importante produzione artigianale di pregio, che ha rivisitato i simboli della tradizione e della scaramanzia partenopea realizzando gioielli, oggetti e dipinti apprezzati in tutto il mondo ed esposti in importanti musei e collezioni private, tra questi le celebri opere di artisti napoletani come Lello Esposito e Gennaro Regina.
I corni artigianali di Lello Esposito
Atelier: Vico San Domenico Maggiore, 9